Molte persone mi contattano per
raccontarmi la loro preoccupazione ed ansia relativi a persone care: figli, partner,
amici, che mostrano segnali preoccupanti di disagio, sintomi fisici, un
malessere psicologico che richiederebbe un intervento professionale. Ma cosa
fare quando la persona interessata si rifiuta di incontrare lo psicologo? Come
comportarsi se lei/lui non ammette la propria difficoltà e rifiuta di farsi
aiutare?
Quando ricevo queste telefonate,
colgo tutta la preoccupazione del familiare, affranto e impotente dinanzi alla
chiusura della persona cara. Poiché tutti hanno timore di scatenare la loro rabbia
e magari un allontanamento, mi chiedono come è meglio porsi, se sollecitare
dolcemente o imporsi, parlare o fingere distacco, come comunicare affetto e non
solo controllo o ansia.
Ovviamente l’approccio cambia se
parliamo di un adolescente o di un adulto, se la problematica è ancora leggera
o se siamo di fronte ad una sofferenza importante e prolungata nel tempo.
Recentemente, una signora mi ha
chiesto come condurre la figlia ad un incontro con me, ipotizzando l’inizio di
un disturbo del comportamento alimentare. La giovane non condivideva con la
madre né l’ipotesi né l’intervento, e quindi si rifiutava di incontrarmi,
temendo di essere analizzata e criticata, sottoposta a domande invadenti da una
perfetta estranea.
Chiunque non decida
spontaneamente di affidarsi ad uno psicologo, teme soprattutto due cose:
1) essere costretto a parlare di
sé, a raccontare comportamenti, emozioni, segreti, senza potersi opporre, un
po’ come quando si va dal dottore che ci dice “alzati, spogliati, fai questo e
quello, cosa mangi, fumi, bevi...”, insomma un esame al microscopio della
propria vita!!
2) fare i conti con una realtà
negata e rimossa, prendere atto di una propria difficoltà, limite o
comportamento dannoso e/o pericoloso, e la sua origine psicologica mette
veramente tanta paura!
Quindi consiglio sempre di rassicurare – il giovane o adulto che
sia – sul fatto che l’incontro con lo psicologo ha delle regole ben precise,
innanzitutto il totale rispetto per
l’intimità della persona, che ha tutto il diritto di tener per sé i suoi
segreti fin quando non sentirà di potersi fidare di me; in secondo luogo
bisogna sottolineare che lo psicologo è un professionista ingaggiato dal
cliente, lavora per lui perseguendo gli obbiettivi decisi insieme, insomma è un
prezioso collaboratore al suo servizio!
Avere un incontro con lo psicologo significa creare un luogo e uno spazio
gestito dal cliente, rispettoso dei suoi tempi, silenzi o reticenze, dove
non esiste giudizio né critica personale; un luogo deputato alla riflessione e
alla conoscenza di sé, dove poter esprimere liberamente pensieri ed emozioni,
dove approfondire le dinamiche che intrappolano la mente in un circolo vizioso,
impedendogli di esprimersi al meglio.
Se la persona è ancora indecisa o
chiaramente contraria, il congiunto può offrirsi di iniziare un percorso insieme,
avendo come obbiettivo il miglioramento della loro relazione, e non il
disagio dell’altro.
Ad esempio, una moglie stanca del gioco
compulsivo del marito inizia con lui un percorso per salvare il proprio
matrimonio, in un secondo momento lui decide di farsi seguire per risolvere la
sua compulsività. Un papà viene in terapia con il figlio per recuperare un
rapporto sfilacciato, i due si chiariscono e si avvicinano, superano il passato,
il papà trova il modo per comunicare in modo efficace e affettuoso con il
figlio; subito dopo, il giovane si fa aiutare dal padre ad abbandonare l’uso di
sostanze stupefacenti.
Non sempre il primo obbiettivo
deve essere quello di far sparire il disagio psicologico, meglio comprenderne
prima il messaggio sotteso, così che il portatore del disagio possa sentirsi
veramente compreso, e non smontato perché considerato “malfunzionante”.
A nessuno piace soffrire,
ma soprattutto essere additati e giudicati problematici, inadeguati e bisognosi
d’aiuto, tutti vogliono dimostrare di potercela fare da soli, quindi se volete
coinvolgere i vostri cari dovete mostrarvi sinceramente comprensivi e non
giudicanti, disponibili ad affiancare la persona anche in terapia, senza
pretese di cambiamento o trasformazione,
a nessuno piace essere trattati come un oggetto a cui voi volete rifare il look,
piuttosto come un sistema – che comprende tutti!- finito in un tunnel e che
vuole trovare la strada per tornare alla luce.