giovedì 26 settembre 2013

La scelte scolastiche per i bambini, banco di prova dei genitori !

Il successo inizia all'asilo?

In molti film americani si evince l’importanza estrema della scelta scolastica, in una cultura meritocratica dove la storia di un individuo si decide già a 3 anni, inserire il proprio pargoletto nell’asilo rinomato e superattrezzato è necessario, indispensabile per arrivare al successo da grandi. Allora si richiedono raccomandazioni, si scomodano amici e funzionari, si combatte con il coltello tra i denti per garantirsi un posticino in quella scuola che aprirà le porte verso un futuro luminoso e professionalmente vincente.

Anche da noi molti genitori vivono la scelta scolastica, a partire dall’asilo, con molte ansie e preoccupazioni, paura di scegliere un ambiente sbagliato, di affidare il bimbo a persone incompetenti, paura di influenzare negativamente lo sviluppo psicologico e cognitivo dello stesso. Le cronache recenti purtroppo ci hanno mostrato casi di  violenza ai danni di inermi bambini proprio in quelle strutture dove dovrebbero essere protetti e amati. Ovviamente tutti desiderano il meglio per i propri figli, ma bisogna accertarsi di cosa sia “il meglio”, quali sono le priorità e cosa sia velleitario, le aspettative scolastiche devono essere adeguate all’età del bambino,  nel rispetto delle disponibilità e possibilità dei genitori. 

Molte persone trascorrono mesi a raccogliere informazioni, fare colloqui, parlare con amici e conoscenti, ponderando vantaggi e svantaggi di questo o quell’istituto, paragonando le attività extracurriculari o la media di recite ed esibizioni, scervellandosi su quale lingua straniera scegliere, come se dalla bontà di queste scelte dipendesse tutto il futuro dello studente in erba, ovvero scelta errata, niente futuro d'eccellenza! 

Alcuni genitori, stremati e terrorizzati, alla fine di questo lavoro di ricerca e supervisione abbandonano la sfida per il primo anno d’asilo del bambino dichiarando di non sentirsi ancora pronti; altri puntano sulla scuola prescelta operando un costante controllo su attività svolte e amicizie, confrontando le competenze acquisite dal bambino con  figli di amici e parenti, con il terrore di scoprire che altrove si fa di più e meglio!

Gli anni della scuola dell’infanzia sono dedicati alla prima forma di socializzazione, i bimbi per la prima volta escono dall’ambiente familiare e trascorrono il loro tempo in un ambiente estraneo, imparano a gestirsi da soli, a relazionarsi tra pari, apprendono che non sempre si ha la meglio, piccole frustrazioni che li aiutano a misurarsi con se stessi e gli altri, guardano il mondo attraverso gli occhi di un altro bimbo, sognano e inventano storie in un luogo deputato a ciò. Questi sono gli aspetti fondamentali, esplorare, conoscere, relazionarsi, arrabbiarsi e piangere e scoprire che un amichetto ti offre il suo fazzolettino, scoprire nuove figure adulte affidabili e affettuose, cimentarsi in piccole prove che fanno emergere abilità, competenze e qualità personali, senza giudizio, un equilibrato sostegno alla Persona nella sua originalità.

 Cosa chiedere di più? Nulla di meno sicuramente, il resto è ininfluente per un sano sviluppo del bambino!  Sostenere la crescita di un bambino significa aiutarlo a conoscersi, dal punto di vista emotivo, sociale, intellettivo, perché questa autocoscienza genera:
         
               ·        gioia e  serenità, voglia di vivere ed esplorare con curiosità,
          ·         capacità di affrontare gli ostacoli, psicologici o pratici
          ·        capacità di vivere le emozioni  con intensità,
       ·        stimola la fantasia e i desideri che sono alla base delle ambizioni e della forza di volontà,
          ·        autostima, la spina dorsale dell’essere umano

Questi sono i mattoncini indispensabili per uno sviluppo sano ed equilibrato, la base dalla quale si parte per costruirsi un futuro, molto di più che la mera acquisizione di competenze, l’attitudine alla lotta ambiziosa per primeggiare che provoca al contrario isolamento, allontanamento dalle proprie emozioni e subalternità delle relazioni ai risultati. “Essere sempre i migliori” è un’esigenza degli adulti, bisognosi di conferme, è un obbiettivo non realistico che rovina la spontaneità e la creatività del bambino, soffoca le sue emozioni e lo trasforma in una macchina,  performante e senza senso se non nella competizione, senza gioia e divorato dall’ansia( “ e se dovessi fallire, perdere…?).

La scuola è il banco di prova dei genitori, saremo promossi o bocciati? 

martedì 24 settembre 2013

Uomini violenti e donne sottomesse: chi sono?

          Uomini violenti e donne sottomesse: chi sono?

Molti uomini si chiedono come sia possibile infierire su una donna, la propria compagna, costantemente e con tanto accanimento; molti uomini non comprendono in generale cosa significhi esercitare violenza su chicchessia, figurarsi su di una persona più debole fisicamente, incapace di reagire e in più oggetto d’amore. Molti uomini soffrono nel vedere una donna piangere e disperarsi, e spesso sono mossi da un istinto protettivo nei suoi confronti che li induce a preservarla, almeno fisicamente.

Molte donne si chiedono al contrario come sia possibile accompagnarsi ad un uomo che per abitudine alza le mani, tira calci e pugni, ti manda all’ospedale una volta, due, tre, fino a cancellarti dalla Terra. Molte donne trovano insopportabile un’aggressione anche solo verbale e sono fermamente convinte che mai potrebbero accettare di essere trattate come bambole da fare a pezzi.

Eppure alcune donne accettano, subiscono, e alcuni uomini abusano, aggrediscono, spezzano, uccidono, psicologicamente e fisicamente.

La rabbia potente che prova l’uomo trova un capro espiatorio, un luogo su cui abbattersi e sfogarsi, un regno nel quale può controllare e comandare senza pericolo di ribellioni o smentite, una persona che con l’assenso gli conferma “…si, tu sei il mo padrone, e sono felice  così…”
Ma quando lei invece smentisce, contrasta, si oppone, mostra di essere un individuo non sottomesso, la bolla scoppia “…tu non sei il mio padrone, non ti appartengo e mi oppongo a ciò che vuoi…”
La rabbia esplode, volta a ripristinare l’ordine, il controllo “…ti sbagli, adesso ti mostro io chi comanda, il più forte…”

Questi uomini e queste donne vivono una realtà dolorosa, immersi nelle sabbie mobili di relazioni insane, non sanno come uscirne, non sanno a chi chiedere aiuto, si vergognano della propria condizione e mantengono il silenzio per anni, con la motivazione di voler salvaguardare l’amore, la famiglia…

Le donne vittime di violenza domestica sono persone di ogni età, ceto sociale, livello culturale, e così gli uomini violenti, dal pregevole professionista al capace impiegato, operaio, sindacalista, medico, disoccupato. Sono i nostri vicini di casa, la giovane commessa o l’educato avvocato, il papà che porta il figlioletto a scuola, la mamma che fa la spesa insieme a noi, eppure portano un segreto, che non confidano neanche a se stessi, per paura del giudizio proprio e altrui.

Entrambi sono abituati a questi exploit violenti, ma non ne percepiscono fino in fondo la perversione, l’insensatezza e la pericolosità: queste relazioni sono insane e distruggono le persone che le vivono! L’amore non c’entra nulla, il possesso è tutto!

Parenti ignari non immaginano tanto orrore, parenti informati non sanno come intervenire, le donne pregano di riuscire a resistere alle botte, gli uomini pregano di non perdere più la calma. In molti casi però si può spezzare l’incantesimo senza esserne distrutti, ma bisogna iniziare da se stessi, armati di coraggio, a testa alta, ammettendo di dover affrontare un problema importante ma con la determinazione di chi sa: sapere è potere!

Armati di tanta dignità, scegliere di parlare, scegliere di desiderare una vita migliore, scegliere di amare senza farsi del male, scegliere di farsi aiutare, consigliare, sostenere, abbracciare. Scegliere di vivere e non sopravvivere, preservare il proprio corpo come un tempio, scegliere di voler cambiare e migliorare, farsi aiutare.



giovedì 5 settembre 2013

Rientro pausa estiva: lo stress di chi rientra, di chi non voleva partire, e di chi non ha fatto vacanze!

Rientro pausa estiva: lo stress di chi rientra, di chi non voleva partire, e di chi non ha fatto vacanze!

Quest’anno vorrei porre l’attenzione sull’ambiguità del cosiddetto “stress da rientro”, ovvero uno stato di insofferenza e leggero malessere che sembra cogliere molti al rientro delle ferie. A parte l’ovvia difficoltà a rientrare nei ritmi lavorativi, familiari e cittadini quotidiani dopo aver interrotto la routine per alcune settimane, mi ritrovo spesso a confrontarmi con persone che mostrano una forte insofferenza, non spiegabile con il classico “mal da rientro”.

Mi accorgo che alcuni avvertono una sorta di delusione legata alle aspettative vacanziere, ovvero dopo aver atteso per un anno intero le 2-3 settimane di meritata libertà, al rientro appaiono scarichi e scontenti, eppure raramente per problemi imprevisti, molto più spesso la vacanza in sé non ha rappresentato un momento di cambiamento rispetto alla quotidianità, anzi, in alcuni casi sembrano organizzate in modo da garantire una totale continuità. Vacanza, dal latino vacantia, essere sgombri, vacui… una nuova modalità da sperimentare, magari per accogliere cose nuove!

Di qui lo stress, tanta attesa per nulla, e dinanzi un nuovo anno all’ insegna della routine! 
Allora si sentono meglio coloro che, al contrario, non aspettandosi nulla di buono dalle vacanze, preferiscono la loro quotidianità e attendono con ansia la fine di questo breve periodo di stop per tornare a casa, e rincantucciarsi lì dove tutto è noto.

Ma forse i più sofferenti potrebbero essere coloro che, avendo mille idee per le vacanze, non possono realizzarle per motivi lavorativi, economici, di salute.

Allora chi sono coloro che non risultano stressati?

Quelli che sanno sfruttare il tempo e le possibilità nel migliore dei modi, conoscendo i propri desideri e volontà, orientano le proprie esperienze nella direzione giusta, allora anche pochi giorni di vacanza sono sufficienti a ricaricarsi, anche poche ore nel weekend possono essere foriere di benessere: ovunque siamo, in casa, tenda, albergo, isola o montagna, conta se quello è il luogo dove vorremmo essere, con le persone con le quali vorremmo essere.


Se non è così, il malessere non ci aspetta al rientro, ma ci accompagna.