1 MARZO,
GIORNATA MONDIALE CONTRO L’AUTOLESIONISMO
Il fenomeno del cutting o più in generale dell’autolesionismo, è un dramma che tocca sempre più persone, coinvolge sempre più adolescenti.
Per
autolesionismo intenzionale si intende un comportamento che causa un danno o
lesione al proprio corpo con intenzionalità e ripetitività, non con intento
suicidario.
La pratica
più diffusa è quella del ‘tagliarsi’ con lamette, coltellini ma anche chiodi e
pezzi di vetro e, nell’epoca dei social, molti autolesionisti diffondono le
immagini dei tagli appena effettuati.
Questo fenomeno è trasversale, per razza, cultura, condizione socio-economica, anche se statisticamente colpisce più le ragazze in età adolescenziale.
Questo fenomeno è trasversale, per razza, cultura, condizione socio-economica, anche se statisticamente colpisce più le ragazze in età adolescenziale.
Le persone
che ne soffrono lo descrivono come un modo per ‘trasferire sul corpo il dolore
dell’anima’, poichè sul corpo il dolore diventa più controllabile e,
aggiungerei, concreto. Perché il dolore interiore, quell’inquietudine che
lascia senza respiro, il senso di solitudine di chi affoga nell’indifferenza,
non trova via di sfogo se non nella comunicazione. Se non si possono descrivere
e condividere queste emozioni, a volte neanche con se stessi, non resta che
‘tradurle’ sul piano concreto e potente del fisico. Tradurle e controllarle,
per raggiungere uno stato, fugace, di tranquillità.
È molto
difficile spiegare cosa provano coloro che si fanno del male, anche se
metaforicamente a tutti capita di ‘farsi del male volontariamente’, per
esempio quando si compiono scelte che,
notoriamente, ci porteranno delle sofferenze. Eppure le compiamo!
Anche
l’autolesionismo ha il suo senso, è una soluzione temporanea che produce
sollievo ma lascia strascichi pesanti e dolorosi, cicatrici dentro e fuori la
persona. A volte il pensiero sotteso al tagliarsi è il tentativo di riprodurre
una sofferenza che sia però rimarginabile, come se il corpo alla fine potesse
curare l’anima.
A volte il
dolore fisico ‘distrae’ dal rumore interiore, altre volte è un segnale potente
per l’ambiente esterno: visto che ormai la trasgressione non esiste più, questo
è uno degli ultimi eccessi rimasti al giovane per attirare l’attenzione.
Ma non
crediate che gli autolesionisti siano giovani disposti a tutto per farsi
notare, perché al contrario essi condividono il proprio malessere fisico e
psichico solo in casi estremi e con persone a loro ‘simili’: il ‘taglio’ è un
grido muto, vissuto in solitudine.
Raramente
quindi si rivolgono alle persone care, amici o ad un professionista della
salute mentale per farsi aiutare, temendo di essere giudicati ed incompresi, ma soprattutto per timore di
condividere quell’universo di pensieri ed emozioni che ritengono essere
incomprensibile agli altri; ragazzi come universi paralleli inaccessibili, che
hanno profonda sfiducia nella scoietà e sentono di non appartenere alla propria
famiglia, gruppo sociale, contesto culturale.
Ragazzi che
hanno profonda sfiducia in se stessi, e pagano sulla propria pelle il costo di
una vita che credono di non meritare.