venerdì 13 marzo 2015


1 MARZO, GIORNATA MONDIALE CONTRO L’AUTOLESIONISMO 














Il fenomeno del cutting o più in generale dell’autolesionismo, è un dramma che tocca sempre più persone, coinvolge sempre più adolescenti.

Per autolesionismo intenzionale si intende un comportamento che causa un danno o lesione al proprio corpo con intenzionalità e ripetitività, non con intento suicidario.

La pratica più diffusa è quella del ‘tagliarsi’ con lamette, coltellini ma anche chiodi e pezzi di vetro e, nell’epoca dei social, molti autolesionisti diffondono le immagini dei tagli appena effettuati.

Questo fenomeno è trasversale, per razza, cultura, condizione socio-economica, anche se statisticamente colpisce più le ragazze in età adolescenziale.

Le persone che ne soffrono lo descrivono come un modo per ‘trasferire sul corpo il dolore dell’anima’, poichè sul corpo il dolore diventa più controllabile e, aggiungerei, concreto. Perché il dolore interiore, quell’inquietudine che lascia senza respiro, il senso di solitudine di chi affoga nell’indifferenza, non trova via di sfogo se non nella comunicazione. Se non si possono descrivere e condividere queste emozioni, a volte neanche con se stessi, non resta che ‘tradurle’ sul piano concreto e potente del fisico. Tradurle e controllarle, per raggiungere uno stato, fugace, di tranquillità.

È molto difficile spiegare cosa provano coloro che si fanno del male, anche se metaforicamente a tutti capita di ‘farsi del male volontariamente’, per esempio  quando si compiono scelte che, notoriamente, ci porteranno delle sofferenze. Eppure le compiamo!

Anche l’autolesionismo ha il suo senso, è una soluzione temporanea che produce sollievo ma lascia strascichi pesanti e dolorosi, cicatrici dentro e fuori la persona. A volte il pensiero sotteso al tagliarsi è il tentativo di riprodurre una sofferenza che sia però rimarginabile, come se il corpo alla fine potesse curare l’anima.

A volte il dolore fisico ‘distrae’ dal rumore interiore, altre volte è un segnale potente per l’ambiente esterno: visto che ormai la trasgressione non esiste più, questo è uno degli ultimi eccessi rimasti al giovane per attirare l’attenzione.

Ma non crediate che gli autolesionisti siano giovani disposti a tutto per farsi notare, perché al contrario essi condividono il proprio malessere fisico e psichico solo in casi estremi e con persone a loro ‘simili’: il ‘taglio’ è un grido muto, vissuto in solitudine.

Raramente quindi si rivolgono alle persone care, amici o ad un professionista della salute mentale per farsi aiutare, temendo di essere giudicati ed  incompresi, ma soprattutto per timore di condividere quell’universo di pensieri ed emozioni che ritengono essere incomprensibile agli altri; ragazzi come universi paralleli inaccessibili, che hanno profonda sfiducia nella scoietà e sentono di non appartenere alla propria famiglia, gruppo sociale, contesto culturale.

Ragazzi che hanno profonda sfiducia in se stessi, e pagano sulla propria pelle il costo di una vita che credono di non meritare.



sabato 17 maggio 2014

I Neet...



I Neet,  un esercito di giovani e adulti che si sono arresi!
Con quali effetti psicologici sulla persona? 

NEET è l'acronimo inglese di Not engaged in Education, Employment or Training, ovvero giovani e adulti non impegnati in attività formative, di studio  e che non cercano lavoro. 
Questa nuova e disperata parola sta ad indicare un folto gruppo di donne e uomini, di età compresa tra i 16 e i 29 anni, che al momento, per vari motivi, non ricevono un’istruzione, non si preparano ad una professione e non cercano neanche più un’occupazione. I primi studi su questa zona grigia parte dal Regno Unito, già nel 1999 si metteva in evidenza questo fenomeno di ritiro sociale, cresciuto enormemente negli ultimi anni. 
In italiano li chiamano i  né-né, termine che ne riassume tragicamente la emarginazione, la scomparsa di questi individui, che sembrano “non esistere”, visto che sono fuoriusciti dalla realtà sociale.  Scomparsi dalle statistiche, il loro disagio ricompare però altrove, non ancora sufficientemente studiato, ma possiamo immaginare quali siano le conseguenze di una vita senza prospettive, senza progetti, una rinuncia silenziosa e dolorosa all’appartenenza sociale, culturale, affettiva. 
In Italia il fenomeno pare acuirsi in particolare nella fascia 25-30 anni, in cui i neet rappresentano il 28,8% della popolazione totale, ed un ulteriore elemento su cui riflettere è dato dalle forti differenze per sesso nell’incidenza: nel 2010, la percentuale delle donne sul totale è superiore a quella degli uomini in tutte le regioni, rappresentando il 55,5% del totale dei Neet nella media del paese, il 53% nel mezzogiorno, il 57,9% nel centro ed il 59,4% nel nord.
Nell’assenza di dati specifici sulle loro condizioni psicologiche, i professionisti del settore sanitario, e non solo, incontrano quotidianamente queste persone, che esprimono un forte disagio a livello comportamentale, fisico e psichico. La sensazione di essere senza speranza, reietti e soli, conduce alcuni ad un annichilimento progressivo, che si manifesta con disturbi d’ansia, abuso di sostanze fino a problematiche di vera e propria spersonalizzazione. I Neet  sono persone che non hanno fiducia nelle proprie possibilità ma ancor meno nella società, che hanno una visione negativa della propria esperienza formativa e scolastica, persone che hanno lavorato ma in condizioni non rispettose di alcun diritto, tanto da abbandonare anche la sola speranza di un posto di lavoro soddisfacente. 
L’identità di questi soggetti è schiacciata dalla mancanza di progetti ed ambizioni; molte donne neet rinunciano ad una vita professionale dopo la nascita di un figlio, ma questa “scelta” riverbera spesso negativamente sul matrimonio, nel quale si concentrano frustrazione ed ansia che sembrano inspiegabili.  Un’insoddisfazione che nasce dalla mancanza di identità personale e sociale, dal non sentirsi parte di una civiltà che sembra camminare spedita verso il futuro lasciando i più fragili a terra. 
Questo esercito di più di due milioni di italiani scivola via verso la dispersione di sé, sottraendo le proprie energie alla società e restituendo malessere, familiare, sociale,  psichico, con conseguente attivazione dei fenomeni di medicalizzazione e istituzionalizzazione
Insomma lo stato perde forza lavoro, risorse umane e acquista fruitori di farmaci, utenti per ospedali e centri, famiglie in pezzi e, nel migliore dei casi, una massa di nuovi emigranti. 

martedì 11 marzo 2014

La gelosia nella coppia, un modo contorto per sentirsi amati

Molto si dice della gelosia, a chi piace, chi non la tollera, chi la trova parte costituiva dell’amore, chi la ammette come forma di attenzione, chi la subisce come prezzo da pagare per trattenere un amante troppo volubile. Ma parliamo dei casi in cui la gelosia rappresenta una forte limitazione alla libertà personale, non giustificata ma esercitata come un diritto naturale, non contestabile se non con un atto trasgressivo:
•Limitazioni nell’uso del proprio tempo libero, dal divieto di frequentare posti o persone al controllo del tempo (niente palestra, dopo la scuola subito a casa, non voglio che frequenti X, perché ci metti tanto? )
•Limitazioni della vita affettiva, familiare ( limiti frequentazione di parenti, genitori, amici, figli)
•Limitazioni espressione verbale ( dal semplice “no” all’espressione libera del proprio pensiero quando non gradito al partner)
•Limitazioni professionali/lavorative ( obbligo di abbandono del lavoro, limitazioni nell’esecuzione del proprio lavoro e ostacolo al successo professionale, competizione malsana)
 Questa tipologia di persona, definita semplicisticamente“gelosa”, ha una paura interna costante del mondo esterno, vissuto come predatorio e aggressivo. La disistima (per sé stesso)che prova lo porta a diffidare delle persone, fino all’estremo della paranoia. La diffidenza va dalle persone amate agli sconosciuti: nel caso delle persone amate, la normale paura di essere abbandonati si somma ad esperienze infantili di separazione/freddezza dei rapporti parentali, ed al dubbio potente di non meritare la felicità, o l’amore;
Vorrei essere amato ma temo che non accadrà, anzi sarò ferito, abbandonato, e me lo merito
di conseguenza, si finisce per odiare ciò che si ama!
Meglio tenersi alla larga dalle persone, dall’amore soprattutto, non fidarsi è meglio,
A quel punto, la persona gelosa tenta di allontanare da sé la paura trasformandola in rabbia, la previsione dell’ abbandono si combatte con il controllo, possesso fisico e psicologico della persona. La paura si perde così nei meandri della mente, la disistima viene soppiantata dal senso di potere
Io non ho paura, altro che abbandono, io sono tutto per lei/lui, e tutto controllo, sono potente
Attraverso questa serie di meccanismi, accantona la sua fragilità e si riveste di forza, autoritarietà, aggressività, tutto sembra tranne che una persona spaventata dall’idea di essere lasciata dal partner.
Questa armatura con il tempo si irrigidisce, sostenuta anche dal partner, inizialmente compiaciuto da tante attenzioni, consigli che sembrano ordini, controlli che appaiono assolutamenti innocui e necessari.
Più spesso, sono le donne a subire e sostenere certi atteggiamenti perché, a loro volta, li interpretano come messaggi di stima
Se mi controlla, mi segue, mi sconsiglia di uscire da sola, mi dice come vestire o come pensare, significa che mi vuole bene, quindi anche io valgo qualcosa
E come messaggi di protezione
Non devi pensare o fare nulla, penso a tutto io, risolvero’ i tuoi problemi
Lui appare un genitore protettivo ma ansioso e autoritario, lei una bambina fragile alla ricerca di un uomo vero, forte…
Se invece è l’uomo la vittima della gelosia insistente della compagna, spesso è un personaggio mite che apparentemente soccombe dinanzi al carattere prorompente di una donna prepotente e aggressiva, ma pronta alla remissività ogni qual volta capisce di aver tirato troppo la corda…
Ovviamente questa bolla esplode prima o poi, perché il dazio da pagare si fa sempre più elevato: lui/lei non acquisisce autostima e quindi spinge i suoi comportamenti aggressivi e controllanti sempre più in là, accusando il partner di essere la causa della sua rabbia
disistima --> paura --> rabbia --> attacco alla persona/società colpevole
il “sottomesso/a” si sente più soffocato che appagato, intuisce che il partner non è la roccia solida che cercava, non si sente più al sicuro ( niente libertà e niente protezione!) e comincia a cercare una “distrazione”, che colmi l’eterno bisogno di conferme ma meno aggressivo: fine dell’idillio, l’armatura si incrina sotto il peso della realtà, le crepe mostrano l’essere indifeso, e la paura sale alle stelle.
Ecco! Un altro abbandono in arrivo, il dramma presagito sta per compiersi, la paura si trasforma in rabbia e viene rivolta ancora una volta all’esterno
dopo tutto quello che ho fatto per lei/lui, non era niente, adesso osa mettermi in disparte, come uno straccio vecchio
La coppia che si fonda su questo reciproco bisogno di conferme, ottenute attraverso il patto io possessore/tu posseduto , non regge più, quindi mette in atto alcune soluzioni non adeguate, in primis il cambio di ruoli:
se non vuoi che ti lasci, da ora non comandi più tu, ma io, adesso mi riprendo la mia libertà,  tu non sai dove e con chi mi vedrò, io ti maltratto e tu taci, io ti impongo come comportarti…
ma non cambia nulla, il meccanismo è sempre lo stesso, uno esercita il potere ed un altro lo subisce. Il risultato è una crisi allontanata di poco ed un ciclo perverso di scambi di ruolo. Il tempo passa e la coppia dimentica cosa li ha uniti tempo addietro, perdendo la speranza in un’ unione felice e serena.
 Con l’aiuto dello psicologo, ognuno può affrontare queste problematiche, perché una volta riconosciute, sarà naturale ricercare delle soluzioni più adeguate e pacificanti. Rinunciare alla gelosia sarà semplice per chi riconoscerà che il possesso non esiste e soprattutto, non serve, perché l’autoconferma è l’unica risposta. Possedere una persona non rende meno soli, condividere la felicità invece sì.
Guardare al partner come persona distinta e libera, significa che le azioni dell’altro non ci definiscono, non ne dipendiamo, non accrescono né riducono il nostro inestimabile valore interiore
Se lei mi ama, sono felice,  ma  ciò non cambia il mio valore interiore; se lei mi lascia, mi rattristerò, ma ciò non cambia il mio valore interiore: resto amabile, valido, utile, importante!
La coppia non è un campo di battaglia dove dimostrare il proprio valore distruttivo, la supremazia, la forza, ma un posto caldo dove acquietarsi, condividere, esprimere tutta la ricchezza di sentimenti e pensieri che naturalmente ciascuno di noi possiede.
A volte dimentichiamo come si fa, ma basta poco per ritrovare la strada.

giovedì 26 settembre 2013

La scelte scolastiche per i bambini, banco di prova dei genitori !

Il successo inizia all'asilo?

In molti film americani si evince l’importanza estrema della scelta scolastica, in una cultura meritocratica dove la storia di un individuo si decide già a 3 anni, inserire il proprio pargoletto nell’asilo rinomato e superattrezzato è necessario, indispensabile per arrivare al successo da grandi. Allora si richiedono raccomandazioni, si scomodano amici e funzionari, si combatte con il coltello tra i denti per garantirsi un posticino in quella scuola che aprirà le porte verso un futuro luminoso e professionalmente vincente.

Anche da noi molti genitori vivono la scelta scolastica, a partire dall’asilo, con molte ansie e preoccupazioni, paura di scegliere un ambiente sbagliato, di affidare il bimbo a persone incompetenti, paura di influenzare negativamente lo sviluppo psicologico e cognitivo dello stesso. Le cronache recenti purtroppo ci hanno mostrato casi di  violenza ai danni di inermi bambini proprio in quelle strutture dove dovrebbero essere protetti e amati. Ovviamente tutti desiderano il meglio per i propri figli, ma bisogna accertarsi di cosa sia “il meglio”, quali sono le priorità e cosa sia velleitario, le aspettative scolastiche devono essere adeguate all’età del bambino,  nel rispetto delle disponibilità e possibilità dei genitori. 

Molte persone trascorrono mesi a raccogliere informazioni, fare colloqui, parlare con amici e conoscenti, ponderando vantaggi e svantaggi di questo o quell’istituto, paragonando le attività extracurriculari o la media di recite ed esibizioni, scervellandosi su quale lingua straniera scegliere, come se dalla bontà di queste scelte dipendesse tutto il futuro dello studente in erba, ovvero scelta errata, niente futuro d'eccellenza! 

Alcuni genitori, stremati e terrorizzati, alla fine di questo lavoro di ricerca e supervisione abbandonano la sfida per il primo anno d’asilo del bambino dichiarando di non sentirsi ancora pronti; altri puntano sulla scuola prescelta operando un costante controllo su attività svolte e amicizie, confrontando le competenze acquisite dal bambino con  figli di amici e parenti, con il terrore di scoprire che altrove si fa di più e meglio!

Gli anni della scuola dell’infanzia sono dedicati alla prima forma di socializzazione, i bimbi per la prima volta escono dall’ambiente familiare e trascorrono il loro tempo in un ambiente estraneo, imparano a gestirsi da soli, a relazionarsi tra pari, apprendono che non sempre si ha la meglio, piccole frustrazioni che li aiutano a misurarsi con se stessi e gli altri, guardano il mondo attraverso gli occhi di un altro bimbo, sognano e inventano storie in un luogo deputato a ciò. Questi sono gli aspetti fondamentali, esplorare, conoscere, relazionarsi, arrabbiarsi e piangere e scoprire che un amichetto ti offre il suo fazzolettino, scoprire nuove figure adulte affidabili e affettuose, cimentarsi in piccole prove che fanno emergere abilità, competenze e qualità personali, senza giudizio, un equilibrato sostegno alla Persona nella sua originalità.

 Cosa chiedere di più? Nulla di meno sicuramente, il resto è ininfluente per un sano sviluppo del bambino!  Sostenere la crescita di un bambino significa aiutarlo a conoscersi, dal punto di vista emotivo, sociale, intellettivo, perché questa autocoscienza genera:
         
               ·        gioia e  serenità, voglia di vivere ed esplorare con curiosità,
          ·         capacità di affrontare gli ostacoli, psicologici o pratici
          ·        capacità di vivere le emozioni  con intensità,
       ·        stimola la fantasia e i desideri che sono alla base delle ambizioni e della forza di volontà,
          ·        autostima, la spina dorsale dell’essere umano

Questi sono i mattoncini indispensabili per uno sviluppo sano ed equilibrato, la base dalla quale si parte per costruirsi un futuro, molto di più che la mera acquisizione di competenze, l’attitudine alla lotta ambiziosa per primeggiare che provoca al contrario isolamento, allontanamento dalle proprie emozioni e subalternità delle relazioni ai risultati. “Essere sempre i migliori” è un’esigenza degli adulti, bisognosi di conferme, è un obbiettivo non realistico che rovina la spontaneità e la creatività del bambino, soffoca le sue emozioni e lo trasforma in una macchina,  performante e senza senso se non nella competizione, senza gioia e divorato dall’ansia( “ e se dovessi fallire, perdere…?).

La scuola è il banco di prova dei genitori, saremo promossi o bocciati? 

martedì 24 settembre 2013

Uomini violenti e donne sottomesse: chi sono?

          Uomini violenti e donne sottomesse: chi sono?

Molti uomini si chiedono come sia possibile infierire su una donna, la propria compagna, costantemente e con tanto accanimento; molti uomini non comprendono in generale cosa significhi esercitare violenza su chicchessia, figurarsi su di una persona più debole fisicamente, incapace di reagire e in più oggetto d’amore. Molti uomini soffrono nel vedere una donna piangere e disperarsi, e spesso sono mossi da un istinto protettivo nei suoi confronti che li induce a preservarla, almeno fisicamente.

Molte donne si chiedono al contrario come sia possibile accompagnarsi ad un uomo che per abitudine alza le mani, tira calci e pugni, ti manda all’ospedale una volta, due, tre, fino a cancellarti dalla Terra. Molte donne trovano insopportabile un’aggressione anche solo verbale e sono fermamente convinte che mai potrebbero accettare di essere trattate come bambole da fare a pezzi.

Eppure alcune donne accettano, subiscono, e alcuni uomini abusano, aggrediscono, spezzano, uccidono, psicologicamente e fisicamente.

La rabbia potente che prova l’uomo trova un capro espiatorio, un luogo su cui abbattersi e sfogarsi, un regno nel quale può controllare e comandare senza pericolo di ribellioni o smentite, una persona che con l’assenso gli conferma “…si, tu sei il mo padrone, e sono felice  così…”
Ma quando lei invece smentisce, contrasta, si oppone, mostra di essere un individuo non sottomesso, la bolla scoppia “…tu non sei il mio padrone, non ti appartengo e mi oppongo a ciò che vuoi…”
La rabbia esplode, volta a ripristinare l’ordine, il controllo “…ti sbagli, adesso ti mostro io chi comanda, il più forte…”

Questi uomini e queste donne vivono una realtà dolorosa, immersi nelle sabbie mobili di relazioni insane, non sanno come uscirne, non sanno a chi chiedere aiuto, si vergognano della propria condizione e mantengono il silenzio per anni, con la motivazione di voler salvaguardare l’amore, la famiglia…

Le donne vittime di violenza domestica sono persone di ogni età, ceto sociale, livello culturale, e così gli uomini violenti, dal pregevole professionista al capace impiegato, operaio, sindacalista, medico, disoccupato. Sono i nostri vicini di casa, la giovane commessa o l’educato avvocato, il papà che porta il figlioletto a scuola, la mamma che fa la spesa insieme a noi, eppure portano un segreto, che non confidano neanche a se stessi, per paura del giudizio proprio e altrui.

Entrambi sono abituati a questi exploit violenti, ma non ne percepiscono fino in fondo la perversione, l’insensatezza e la pericolosità: queste relazioni sono insane e distruggono le persone che le vivono! L’amore non c’entra nulla, il possesso è tutto!

Parenti ignari non immaginano tanto orrore, parenti informati non sanno come intervenire, le donne pregano di riuscire a resistere alle botte, gli uomini pregano di non perdere più la calma. In molti casi però si può spezzare l’incantesimo senza esserne distrutti, ma bisogna iniziare da se stessi, armati di coraggio, a testa alta, ammettendo di dover affrontare un problema importante ma con la determinazione di chi sa: sapere è potere!

Armati di tanta dignità, scegliere di parlare, scegliere di desiderare una vita migliore, scegliere di amare senza farsi del male, scegliere di farsi aiutare, consigliare, sostenere, abbracciare. Scegliere di vivere e non sopravvivere, preservare il proprio corpo come un tempio, scegliere di voler cambiare e migliorare, farsi aiutare.



giovedì 5 settembre 2013

Rientro pausa estiva: lo stress di chi rientra, di chi non voleva partire, e di chi non ha fatto vacanze!

Rientro pausa estiva: lo stress di chi rientra, di chi non voleva partire, e di chi non ha fatto vacanze!

Quest’anno vorrei porre l’attenzione sull’ambiguità del cosiddetto “stress da rientro”, ovvero uno stato di insofferenza e leggero malessere che sembra cogliere molti al rientro delle ferie. A parte l’ovvia difficoltà a rientrare nei ritmi lavorativi, familiari e cittadini quotidiani dopo aver interrotto la routine per alcune settimane, mi ritrovo spesso a confrontarmi con persone che mostrano una forte insofferenza, non spiegabile con il classico “mal da rientro”.

Mi accorgo che alcuni avvertono una sorta di delusione legata alle aspettative vacanziere, ovvero dopo aver atteso per un anno intero le 2-3 settimane di meritata libertà, al rientro appaiono scarichi e scontenti, eppure raramente per problemi imprevisti, molto più spesso la vacanza in sé non ha rappresentato un momento di cambiamento rispetto alla quotidianità, anzi, in alcuni casi sembrano organizzate in modo da garantire una totale continuità. Vacanza, dal latino vacantia, essere sgombri, vacui… una nuova modalità da sperimentare, magari per accogliere cose nuove!

Di qui lo stress, tanta attesa per nulla, e dinanzi un nuovo anno all’ insegna della routine! 
Allora si sentono meglio coloro che, al contrario, non aspettandosi nulla di buono dalle vacanze, preferiscono la loro quotidianità e attendono con ansia la fine di questo breve periodo di stop per tornare a casa, e rincantucciarsi lì dove tutto è noto.

Ma forse i più sofferenti potrebbero essere coloro che, avendo mille idee per le vacanze, non possono realizzarle per motivi lavorativi, economici, di salute.

Allora chi sono coloro che non risultano stressati?

Quelli che sanno sfruttare il tempo e le possibilità nel migliore dei modi, conoscendo i propri desideri e volontà, orientano le proprie esperienze nella direzione giusta, allora anche pochi giorni di vacanza sono sufficienti a ricaricarsi, anche poche ore nel weekend possono essere foriere di benessere: ovunque siamo, in casa, tenda, albergo, isola o montagna, conta se quello è il luogo dove vorremmo essere, con le persone con le quali vorremmo essere.


Se non è così, il malessere non ci aspetta al rientro, ma ci accompagna.